Con sentenza n. 7012 depositata il 23 febbraio 2021 si è pronunciata, all’esito dell’udienza celebrata il 19 gennaio dello stesso anno, la Suprema Corte di Cassazione, nell’ambito di un procedimento penale promosso nei confronti di un Appuntato della Guardia di Finanza accusato, secondo quanto sostenuto nel capo di imputazione formulato a suo carico dalla Procura, del reato di concussione previsto e punito dall’art. 317 c.p..

Il procedimento penale, avviato appunto nei confronti del graduato, (sospeso dal servizio dalla Propria amministrazione di appartenenza da diversi anni), trae origine da una controversia risalente ormai al lontano 2012, ed avente a oggetto alcuni lavori commissionati ad un idraulico, incaricato dal finanziere del rifacimento del bagno della propria abitazione.
Più nel dettaglio l’idraulico che, a fronte di un primo pagamento ricevuto ad inizio lavori, ha sempre dichiarato di vantare un credito per l’attività svolta (750,00 euro per l’esattezza), all’epoca dei fatti ebbe a sporgere formale denuncia nei confronti del militare sostenendo di aver subito ripetute minacce attraverso le quali sarebbe stato intimorito allo scopo di scoraggiarlo dal richiedere il pagamento del saldo, a suo dire ancora dovuto.

Di tutt’altro tenore è invece la ricostruzione del militare che, contrariamente a quanto affermato dal suo accusatore, ha sin da subito in realtà sostenuto di aver risolto il contratto poiché non soddisfatto dell’esecuzione dei lavori fino a quel momento svolti, circostanza questa dalla quale è scaturito un conflitto fra le parti, sfociato come premesso nella denuncia presentata dalla persona ritenuta offesa intimorita a suo dire dal tenore delle minacce proferite dal militare.

La difesa del pubblico ufficiale, assistito da un diverso difensore nei primi due gradi di giudizio, non ha tuttavia convinto i giudici di merito che, all’esito dell’istruttoria dibattimentale svolta, hanno ritenuto di dover dar credito alle accuse così come prospettate dalla persona offesa (costituitasi peraltro parte civile nel processo) considerate a detta dei giudici assolutamente attendibili sul punto.

Lo scorso 19 gennaio, all’esito dell’udienza celebrata, la VI Sezione della Corte di Cassazione in accoglimento dei motivi di ricorso indicati, non condividendo affatto le motivazioni formulate, ha tuttavia annullato la sentenza della Corte di Appello di Ancona, in particolare per ciò che concerne la ritenuta credibilità delle dichiarazioni accusatorie della presunta persona offesa, giudicate dai giudici di legittimità non solo “deboli” ma per di più alquanto “eccentriche”.

Il procedimento penale è stato dunque assegnato ad altra Corte d’Appello (di Perugia) che, sulla base delle indicazioni fornite in sentenza dalla Cassazione, dovrà pertanto riesaminare i fatti posti a fondamento del capo d’imputazione così come contestato al militare.

Ci si augura di riuscire in quella sede a dimostrare la totale infondatezza delle accuse che in tal caso consentirebbe di giungere ad un giudizio di assoluzione che comporterebbe il reintegro in servizio del militare a pieno titolo ma soprattutto la fine di un calvario che si protrae ormai da quasi un decennio.

 

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