Danno da mancato consenso informato: l’importante arresto giurisprudenziale della Suprema Corte n. 28985/2019-
Si richiama l’importante contributo della sentenza 2 luglio-11 novembre 2019, n. 28985 della Corte di Cassazione, sezione III civile, la quale, in materia di consenso informato, ricostruisce un’immagine chiara e precisa dello stato dell’arte nell’ambito dell’attività sanitaria.
In primis in ossequio al consolidato orientamento di legittimità che trova autorevole conferma anche nella giurisprudenza costituzionale (Cort. Cost. n. 438/08), gli Ermellini hanno ribadito che “la manifestazione del consenso del paziente alla prestazione sanitaria, costituisce esercizio di un autonomo diritto soggettivo all’autodeterminazione proprio della persona fisica”, diverso e distinto dal diritto alla salute inteso quale diritto del soggetto alla propria integrità psico-fisica.
Ogni individuo ha il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonchè delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32 Cost., comma 2.
Ne consegue l’obbligo del medico “di fornire informazioni dettagliate, in quanto adempimento strettamente strumentale a rendere consapevole il paziente della natura dell’intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative”.
Sebbene quello alla salute e quello al consenso informato costituiscano diritti diversi, appare evidente come essi si compenetrino a vicenda, tanto da poter ricollegare alla mancata informazione anche un pregiudizio alla salute: “non può affermarsi (..) una assoluta autonomia delle fattispecie illecite (per omessa informazione e per errata esecuzione del trattamento terapeutico), tale da escludere ogni interferenza delle stesse nella produzione del medesimo danno-conseguenza, bene essendo – invece – possibile che anche l’inadempimento della obbligazione avente ad oggetto la corretta informazione sui rischi-benefici della terapia venga ad inserirsi tra i fattori “concorrenti” della stessa serie causale determinativa del pregiudizio alla salute, dovendo, pertanto, riconoscersi alla omissione informativa una astratta capacità plurioffensiva”.
Pertanto, la violazione da parte del medico del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni:
a) un danno alla salute, “quando sia ragionevole ritenere che il paziente – sul quale grava il relativo onere probatorio – se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento (onde non subirne le conseguenze invalidanti)”;
b) un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione ogni volta che “a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute”.
Delimitata la questione in questi termini, la Corte riepiloga tutte le ipotesi conseguenti ad una omessa od insufficiente informazione:
1) omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe in ogni caso scelto di sottoporsi, nelle medesime condizioni, “hic et nunc”. In tal caso, il risarcimento sarà limitato al solo danno alla salute subito dal paziente, nella sua duplice componente, morale e relazionale;
2) omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi. In tal caso, il risarcimento avrà ad oggetto il diritto alla salute e quello all’autodeterminazione del paziente;
3) omessa informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute (inteso anche nel senso di un aggravamento delle condizioni preesistenti) a causa della condotta non colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi. In tal caso il risarcimento sarà liquidato in via equitativa con riferimento alla violazione del diritto alla autodeterminazione, mentre la lesione della salute – da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poichè, in presenza di adeguata informazione, l’intervento non sarebbe stato eseguito – andrà valutata in relazione alla eventuale situazione “differenziale” tra il maggiore danno biologico conseguente all’intervento ed il preesistente stato patologico invalidante del soggetto;
4) omessa informazione in relazione ad un intervento che non abbia cagionato danno alla salute del paziente, cui egli avrebbe comunque scelto di sottoporsi. In tal caso, nessun risarcimento sarà dovuto;
5) Omissione/inadeguatezza diagnostica che non abbia cagionato danno alla salute del paziente, ma che gli ha tuttavia impedito di accedere a più accurati ed attendibili accertamenti. In tal caso, il danno da lesione del diritto alla autodeterminazione sarà risarcibile qualora il paziente alleghi che, dalla omessa, inadeguata o insufficiente informazione, gli siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente.
Per il risarcimento dei summenzionati pregiudizi, il paziente dovrà dimostrare la relazione tra evento lesivo del diritto alla autodeterminazione – perfezionatosi con la condotta omissiva violativa dell’obbligo informativo preventivo – e conseguenze pregiudizievoli che da quello derivano secondo un nesso eziologico inteso come causalità giuridica ex art. 1223 c.c.
In sintesi dunque:
a) il fatto positivo da provare è il rifiuto che sarebbe stato opposto dal paziente al medico;
b) il presupposto della domanda risarcitoria è costituito dalla scelta soggettiva del paziente. La distribuzione del relativo onere va individuato in base al criterio della cd. “vicinanza della prova”, sicché sarà onere del paziente dimostrarla;
c) il discostamento della scelta del paziente dalla valutazione di necessità/opportunità dell’intervento operata dal medico costituisce eventualità non corrispondente all'”id quod plerumque accidit”.
Tale prova, secondo la Suprema Corte, “potrà essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza, le presunzioni, queste ultime fondate, in un rapporto di proporzionalità diretta, sulla gravità delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarietà dell’operazione”.