Tra le domande più frequenti in caso di esposizione debitoria, attuale o potenziale, si colloca l’interrogativo – e la condivisibile preoccupazione – su come porre al riparo i beni immobiliari da azioni esecutive.
Particolare tematica è quella che attiene al pignoramento della prima casa, sulla quale offriamo qualche spunto di riflessione per poter pianificare al meglio una strategia difensiva.
Un primo determinante distinguo va formulato con riferimento alla natura dei debiti accumulati, che ricomprendiamo in debiti verso l’erario e debiti verso soggetti privati.
Nel primo caso i debiti relativi a cartelle di pagamento, che legittimano l’Agenzia delle Entrate e Riscossione – od altra PA- ad agire in qualità di creditore procedente, non consentono il pignoramento della prima casa.
Tuttavia tale divieto trova applicazione laddove il debitore non disponga di altri beni immobili intestati e l’immobile a cui ci si riferisce sia adibito a sua residenza. Per far venir meno tale divieto di pignoramento è purtroppo sufficiente risultare titolari anche solo pro quota di proprietà di un altro bene immobile: in tale situazione la prima casa diventa pignorabile.
Ulteriormente l’abitazione non deve essere risultare “di lusso”; ovvero accatastata nella categorie A/8 o A/9, e, come detto, deve altresì essere adibita a civile abitazione, nella quale il debitore deve aver eletto la propria residenza.
Con riferimento alla sorte destinata ad altre case e terreni – quindi oltre all’unità adibita a residenza – il consiglio utile è quello di evitare il pignoramento mantenendo o comunque riducendo il debito sotto il limite di €120.000,00.
Il pignoramento passa, sinteticamente, attraverso i seguenti passaggi:
- Preliminarmente – ma non obbligatoriamente- iscrizione di ipoteca sui beni del debitore, momento da cui iniziano a decorrere i 6 mesi di tempo utile affinché nelle more il debitore possa riuscire a sanare il dovuto;
- il debito maturato e scaduto deve essere superiore ad Euro 120.000,00;
- il valore del bene deve essere capiente, ovvero la stima del cespite deve superare tale importo affinché la fase esecutiva sia per il creditore procedente (Erario) fruttuosa.
Al debitore è consentito saldare parzialmente l’esattore – che non può rifiutare pagamenti parziali che consentano all’esecutato di rendere il debito residuo di importo inferiore alla soglia indicata.
Naturalmente è sempre possibile valutare la possibilità di formulare istanza di rateazione del debito – nonché aderire ad eventuali rottamazioni in corso – anche se tuttavia che l’ipoteca eventualmente iscritta verrà cancellata solo ad estinzione dell’intera rateizzazione e quindi con verifica del corretto ed esaustivo versamento di cui ad ultima rata.
Con riferimento al secondo gruppo di debiti, quelli contratti cioè nei confronti di privati, è possibile ricorrere al “fondo patrimoniale” peraltro efficace solo laddove la costituzione – per atto notarile – intervenga prima della nascita del debito medesimo.
E’ pur vero, però, che la recente giurisprudenza ha riconosciuto la possibilità di pervenire ad una revoca dello stesso entro 5 anni dalla sua costituzione, anche in caso di debiti fiscali nei confronti dell’ Erario e/o della P.A, per esigenze familiari ben conosciute ovvero per l’esercizio dell’attività lavorativa.
Con legge 3/2012 nota come Legge sul Sovraindebitamento, il legislatore ha inteso approntare un procedimento che consenta al debitore di pagare i propri debiti sulla base della sua effettiva capacità economica, pervenendo finanche ad un considerevole ridimensionamento dello stesso debito.
In tale procedimento è previsto il necessario supporto da parte di un Organismo di composizione della Crisi con il quale redigere un piano di rientro e di pagamenti certi nel tempo; dal canto suo il debitore dovrà offrire garanzie ed una soglia minima di saldo in percentuale .
Il piano è comunque al vaglio del Giudice delegato che dovrà autorizzarlo.
Ricordiamo in ogni caso che nel corso delle procedure esecutive è soltamente possibile addivenire ad una transazione, un cosiddetto “saldo e stralcio” che definisca transattivamente la posizione debitoria.
Nel caso in cui l’unità immobiliare oggetto di procedura resti invenduta per più incanti (la recente riforma ne prevede al massimo 3), il Giudice dell’esecuzione, considerata la situazione oggettiva, può dichiarare estinta la procedura e questo accade in tutte le situazioni in cui obiettivamente il bene arriverebbe ad una tale decurtazione a ribasso (intorno al 25%) tale da vanificare la procedura stessa con sostanziale pregiudizio delle ragioni creditorie.