Il Tempo Martedì 30 gennaio 2018
Roma
Maresciallo capo era stato arrestato per detenzione a fini di spaccio nel 2000.
Per 5 anni ha perso lo stipendio. Ora la Cassazione lo ha dichiarato innocente
Enrico Lupino
“Inconcepibile una durata come questa in un processo simile”
Un estenuante flipper fra Corte d’Appello e Cassazione. Un’accusa di spaccio piovutagli addosso nel lontano 2000 per la quale ha atteso più di 17 anni per uscirne pulito. Una serie di sviste che hanno contribuito a tenerlo senza stipendio per cinque anni.
È nonostante tutto questo che il maresciallo capo della Guardia di Finanza M.P. è riuscito a far valere la sua innocenza, sancita dalla Corte d’Appello proprio in questo primo mese del 2018, a distanza di quasi 18 anni dall’inizio del procedimento per cui l’allora imputato aveva scelto persino il rito abbreviato. Non immaginando che il tutto si sarebbe definito molto più in là nel tempo. E con un dispendio notevole di energie, anche economiche.
L’ACCUSA
“Deteneva ai fini di spaccio grammi 2,6 di hashish, grammi 2,1 di cocaina e – si legge nel capo di imputazione – 3,8 di hashish”. Così comincia l’incubo del finanziere originario del mantovano, quel 27 novembre del 2000 come indicano gli atti della procura di Velletri che identifica il luogo della contestazione a Ciampino.
Il 23 ottobre dell’anno seguente il maresciallo viene arrestato e passa poco meno di un mese nella casa circondariale romana di Forte Boccea. Passano tre anni e l’imputato viene giudicato, nella formula del rito abbreviato dai giudici del Tribunale di Velletri. Nel novembre del 2005 arriva quindi la sentenza: il maresciallo viene condannato in primo grado a due anni di reclusione più 2000 euro di multa.
MOTIVAZIONI ILLEGGIBILI
La doccia fredda però non è solo quella della sentenza tout court. È infatti quando arrivano le motivazioni che iniziano le prime sviste. Queste infatti arrivano sotto gli occhi dell’imputato e del suo difensore scritte a penna, in modo difficilmente leggibile. Il maresciallo non ci sta e parte il ricorso per due motivi: troppo generico il capo di imputazione ed illeggibile la motivazione. La prima sezione della Corte di Appello capitolina concorda con la difesa: “L’elaborato motivazionale – scrivono i giudici – redatto dal primo giudice consta di 44 fogli vergati a mano con grafia in gran parte indecifrabile e per il resto decifrabile con grande difficoltà e quindi con esito interpretativo incerto”. Tutto da rifare quindi: la sentenza è nulla e il processo va rifatto. Soltanto nel 2013 il gup di Velletri celebra di nuovo il primo grado ed è ancora condanna: un anno e sei mesi di reclusione. Resta invariata la multa.
RINUNCIA ALLA PRESCRIZIONE
A questo punto si va di nuovo in Appello per presentare ricorso alla sentenza del gup. Ma qui arriva la seconda svista. Il 26 febbraio del 2014 la Corte aveva dichiarato il reato estinto per prescrizione, ponendo fine alla pendenza del maresciallo. Il Collegio tuttavia evidenziava che “non emerge ictu oculi – scrivono le toghe di piazzale Clodio – la prova dell’innocenza dell’imputato”. Peccato che di questa udienza il legale del maresciallo non sarebbe stato avvertito minando quindi il diritto dell’imputato alla difesa. Parte così un nuovo ricorso in Cassazione, la quale il 15 ottobre del 2015 arriva a una decisione. Per gli armellini “le violazioni rilevate hanno inficiato radicalmente il contraddittorio precludendo le prerogative difensive dell’imputato”. Di nuovo: si ritorna indietro alla Corte d’Appello per “nullità assoluta della sentenza”. Il maresciallo d’altro canto rinuncia alla prescrizione, un suo diritto impedito dal non essere stato informato. La formula dell’estinzione del reato così come era stata sancita dalla sentenza del febbraio 2014 infatti “in ragione della posizione di sottoufficiale del Gdf – scrivono a piazza Cavour – la sentenza passata in giudicato ha ripercussioni sul piano disciplinare”.
L’EPILOGO
Il maresciallo, con al fianco il legale Sebastiano Russo arriva per l’ultima volta di fronte ai giudici. La sentenza stavolta, dopo oltre 17 anni, gli è favorevole. La Corte lo assolve per non aver commesso il fatto.
Il legale del maresciallo saluta con favore una sentenza più che sudata. “Anche se ci sono voluti 17 anni, sono lieto che il maresciallo sia uscito da questo calvario giudiziario”. Ma non è ancora realmente finita: la difesa sta meditando di cercare di rivalersi per il ritardo e l’ingiusta detenzione del maresciallo.
“A questo punto – aggiunge Russo – stiamo pensando di agire per un risarcimento del danno subito: è inconcepibile una durata di questo genere per un processo di questo tipo”.