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Si conclude con una sentenza di accoglimento l’annosa quanto incredibile disavventura di un lavoratore licenziato dal proprio datore di lavoro, il quale interrompeva il rapporto contrattuale solo apparentemente per ragioni legate a difficoltà aziendali e necessità di ristrutturazione aziendale, perseguendo, in realtà, finalità discriminatorie e ritorsive in danno del dipendente.

Il lavoratore, infatti, era stato “invitato” a dimettersi dal proprio datore, il quale aveva appreso che il dipendente aveva dato in adozione i due gatti di cui era proprietario (per inciso il lavoratore si era premurato di trovare un’idonea sistemazione per le bestiole individuando due meritevoli famiglie adottive);

tale decisione non incontrava evidentemente il favore del datore di lavoro, convinto animalista, il quale sin da subito non aveva risparmiato al povero dipendente improperi ed insulti: “fai schifo”, “o te ne vai o ti caccio” si legge in sentenza “dopo che hai dato via i gatti abbi la decenza di non tornare più”.

Il lavoratore decideva dunque di impugnare l’intimato licenziamento, assistito dallo Studio Legale Russo Caradonna, chiedendo al Tribunale del Lavoro che venisse accertata la vera ragione dell’interruzione del rapporto lavorativo, direttamente riconducibile a ragioni puramente ritorsive, chiedendo pertanto che venisse dichiarata la nullità del licenziamento e che venisse ordinata l’immediata reintegra nel posto di lavoro.

Il Tribunale ha accolto pienamente la tesi difensiva del lavoratore all’esito di una puntuale istruttoria durante la quale i testimoni citati hanno saputo e potuto riferire i fatti di causa, che hanno smentito radicalmente la ricostruzione avversaria che pretendeva di giustificare l’avvenuto licenziamento con nebulose ragioni di crisi aziendale, ritenute dal Giudice del Lavoro del tutto non credibili.

 

 

Altresì il Tribunale ha voluto attribuire significativo rilievo, ad ulteriore corredo delle prove offerte, alle conversazioni avvenute tra i dipendenti via “WhatsApp”, conversazioni conferenti con i fatti oggetto della vertenza, durante le quali gli stessi dipendenti commentavano quanto accaduto in danno del loro ex collega; tali conversazioni sono state prodotte dalla difesa del lavoratore mediante “screenshot”, la cui efficacia probatoria, pur in assenza dell’apparecchio dal quale sono state estratte, perché non più reperibile, è stata pienamente confermata.

 

Ricorda il Tribunale che gli screenshot sono “immagini/fotografie della conversazione intercorsa”, riconoscendo l’applicabilità al caso specifico dell’art 2712 c.c., con la conseguenza che formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesti la conformità ai fatti o alle cose medesime, contestazione- ricorda il Tribunale richiamando le due autorevoli pronunce della Supera Corte n. 5149/2019 e 19155/2019- che deve essere basata su elementi concreti e circostanziati.

Dunque il Tribunale ha dichiarato nullo il licenziamento, ordinando la reintegra del lavoratore, con condanna della società al pagamento a titolo risarcitorio di una somma commisurata all’ultimo stipendio dalla data del licenziamento fino all’effettiva reintegra del lavoratore, oltre alle spese di giudizio.

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