La diffusione dell’ormai tristemente noto Covid-19, nonché le altrettanto dolorose misure di contenimento dettate per gestire l’emergenza, ha provocato considerevoli problemi sul versante delle locazioni, sia per quelle ad uso commerciale sia per quelle ad uso abitativo.
Prima tra tutti l’immediata impossibilità di svolgere quelle attività che consentivano di poter godere senza limitazioni dell’immobile, in stretta connessione con la situazione economica generale e con le difficoltà di carattere sociale, ha colpito il mercato delle locazioni dando vita ad una ondata di inadempimenti a catena riguardanti in maniera principale e diretta le locazioni commerciali, e non solo.
A ciò si aggiungano la flessione della redditività delle attività e delle ulteriori e gravose misure di sicurezza che i commercianti sono stati costretti ad adottare (misure restrittive in relazione all’accesso dell’utenza, misure di igienizzazione, dotazione di dispositivi di protezione, ecc.) e l’inevitabile calo generale dei consumi.
In tale sconfortane contesto, fatto di provvedimenti d’urgenza introdotti da fonti normative “insolite”, l’interprete del diritto è chiamato ad approntare soluzioni dirimenti, che tengano in debito conto gli interessi contrapposti: il locatore da un lato ed il conduttore dall’altro, entrambi evidentemente travolti da questi eccezionali eventi.
Seppure si invochi da più parti l’adozione di provvedimenti normativi che, anche in questo settore
possano contribuire a sollevare i provati da questo pesante carico, ad oggi non vi è menzione di
alcuna disposizione normativa intesa a modificare – neppure parzialmente – la disciplina dei contratti di locazione che resta regolata dalla Legge n. 392 del 1978 (per le locazioni non abitative) e della Legge n. 431 del 1998 (per quelle abitative). L’art. 65 del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 (c.d. Decreto “Cura Italia”) ha previsto un credito di imposta pari al 60% dell’ammontare del canone di locazione corrisposto per il mese di marzo 2020. Tale norma costituisce una risposta irrisoria e circoscrive i suoi effetti temporalmente al solo mese di marzo e dall’altro risulta espressamente applicabile alle sole categorie catastali C/1 (negozi e botteghe).
Tale norma, peraltro, in considerazione della sua formulazione, riguarda solamente i negozi interessati dalla “chiusura forzata” ed esaurisce i suoi effetti sul piano prettamente tributario.
La disposizione in oggetto, infine, presuppone il pieno adempimento del conduttore rispetto all’obbligo di pagamento del canone di locazione, così confermando di non intervenire nel rapporto fra le parti. Più ampio respiro è invece quello dell’art. 91 dello stesso Decreto “Cura Italia” che, con disposizione applicabile anche ai contratti di locazione, interviene a precisare che il rispetto delle misure dettate per il contenimento dell’epidemia «è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti».
Individua in tal modo una ipotesi di impossibilità temporanea della prestazione per causa non imputabile al debitore alla luce della quale, per ciò che qui interessa, ne deriva che il mancato pagamento da parte del conduttore del canone di locazione non possa di per sé essere addotto dal locatore a motivo di risoluzione del contratto di locazione in quanto il conduttore potrà ben giustificare il suo mancato o parziale adempimento con la situazione contingente che viene richiamata espressamente dalla legge.
Non viene però esclusa la responsabilità del debitore-conduttore il quale ometta il versamento del canone nel periodo emergenziale, e ciò in quanto la prestazione cui è tenuto il conduttore, ovvero il pagamento di una somma quale canone di locazione, non è essa stessa oggettivamente impossibile.
Nei rapporti commerciali fra i privati si pone imprescindibile la valutazione, caso per caso, dell’incidenza delle misure di contenimento adottate dal governo e l’effettiva ripercussione che le stesse hanno avuto in concreto sulla possibilità di adempimento rispetto alle obbligazioni contrattuali.
Occorre, peraltro, rilevare che l’art. 91, in considerazione della sua formulazione, può trovare applicazione solamente a quegli inadempimenti derivanti “dall’attuazione delle misure di contenimento” e quindi, a stretto rigore, esclusivamente alle locazioni relative ad immobili per i quali i vari decreti intervenuti abbiano limitato o impedito del tutto lo svolgimento dell’attività commerciale che ivi veniva esercitata.
In ogni caso sarà rimesso al lavoro dei Tribunale di merito che, investiti delle questioni, dovranno elaborare soluzioni interpretative che pongano rimedio ai vuoti normativi.
Saranno dunque i giudici, in ultima istanza (laddove non riesca, come sarebbe invece auspicabile, la mediazione civile) a valutare, caso per caso, la gravità dell’inadempimento, l’applicabilità degli istituti giuridici ed il rilievo della buona fede contrattuale nel rapporto fra le parti.
La partita si gioca tra la rigidità della normativa speciale in materia di locazioni e la flessibilità delle disposizioni generali che il Codice civile individua in materia contrattuale, il tutto in funzione della tenuta del sistema. Il momento storico suggerisce prudenza ed elasticità nel giudizio, a vantaggio di prospettive che possano consentire di mantenere in vita rapporti contrattuali penalizzati dalla crisi eccezionale che sta imperversando.
Occorre chiarire che non sono consentite iniziative unilaterali del conduttore: decidere autonomamente di ridursi il canone o di posticiparne il pagamento a data successiva nel tempo non si giustifica, nel caso delle locazioni abitative, nell’impossibilità della prestazione o nell’eccessiva onerosità sopravvenuta in relazione a divieti che spiegano i loro effetti direttamente solo su (alcune) attività commerciali.
L’unica ragione coinciderà con la difficoltà economica legata al generale quadro di crisi determinato dalla diffusione dell’epidemia e che, indirettamente, ha influito sulla sua possibilità di tener fede agli impegni assunti, seppur con le dovute perplessità già manifestate in seno alla giurisprudenza di merito. L’immobile locato, infatti, permane nell’esclusiva disponibilità del conduttore che vi continua a custodire i propri beni e mezzi di produzione. Secondo la giurisprudenza – nel rapporto sinallagmatico locatore-conduttore, il conduttore sarebbe legittimato alla sospensione o riduzione del canone di locazione solamente in caso di inadempimento da parte del locatore.
Laddove le parti (e nella specie il conduttore) volessero pervenire ad uno scioglimento del vincolo contrattuale che sia divenuto intollerabile e non più utile, certamente perseguibile sarebbe l’ipotesi del recesso dal contratto per “gravi motivi” previsto sia per le locazioni abitative sia per le non abitative. Infatti, ai sensi dell’art. 27 della Legge n. 392/1978 per le locazioni commerciali e dell’art. 3, ultimo comma, della Legge n. 431/1998 per quelle ad uso abitativo, il conduttore ha la facoltà di recedere dal contratto di locazione al verificarsi di ragioni gravi e dando un preavviso di sei mesi al locatore. Occorre precisare che la gravosità della prosecuzione deve avere una connotazione oggettiva, non potendo risolversi in una valutazione unilaterale effettuata dal conduttore in ordine alla convenienza o meno di continuare il rapporto locativo.
Sul punto, in materia di locazione non abitativa, la giurisprudenza più recente conforterebbe la possibilità di invocare i gravi motivi anche nell’attuale situazione di emergenza sanitaria in considerazione dei provvedimenti di contenimento adottati e delle loro drammatiche conseguenze per molte attività commerciali.
Il recesso per gravi motivi, alla luce delle premesse, non essendo una soluzione “conservativa” del rapporto locatizio e conducendolo, invece, alla sua fine, non costituisce una soluzione reale al problema contingente. Non si dimentichi, peraltro, che tale opzione non fa in ogni caso venir meno l’obbligo di corrispondere il canone di locazione per il periodo di preavviso (pari a sei mesi per le locazioni ordinarie e a tre mesi per le locazioni a studenti), ed inoltre comporta l’assoluta e completa liberazione dell’immobile. La risoluzione del contratto scioglie il rapporto obbligatorio fra le parti e, dal punto di vista del conduttore, si rivela più vantaggioso rispetto al recesso per gravi motivi in quanto evita l’esborso del canone per i mesi di preavviso. L’applicazione dell’istituto è, tuttavia, subordinata al verificarsi di una concreta impossibilità di svolgere la prestazione che sia oggettiva, sopravvenuta ed inevitabile.
E’ bene precisare che non conosciamo ancora la durata delle disposizioni che inibiscono il pieno esercizio delle attività commerciali coinvolte dalle misure restrittive. Secondo una prospettiva segnalata, per la quale tali misure “primo o poi sono destinate a cessare”, non sarebbe consentito il ricorso agli istituti giuridici dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione, totale (art. 1463 c.c.) o parziale (art. 1464 c.c.), ma anche dell’impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore (prevista in via generale, per tutte le obbligazioni, dall’art. 1256 c.c.) proprio in considerazione del difetto del carattere della definitività della
situazione sopravvenuta.
L’art. 1464 c.c. disciplina il caso dell’impossibilità parziale della prestazione: «quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale». Tale norma potrebbe applicarsi alle obbligazioni del conduttore e del locatore laddove si ritenga che la prestazione del locatore di mantenere la cosa locata all’uso convenuto (ossia all’esercizio dell’attività del
conduttore) sia divenuta parzialmente impossibile in quanto, pur rimanendo l’immobile nella disponibilità del conduttore, quest’ultimo non potrebbe servirsene.
Il conduttore, applicando tale istituto, potrebbe sostenere di avere diritto ad una riduzione della sua
prestazione (pagamento del canone mensile) o recedere dal contratto.
Occorre però chiarire che il superiore istituto non prende in considerazione la possibilità di riduzione della prestazione per periodi limitati e l’impossibilità parziale della prestazione del locatore è solo temporanea: finita l’emergenza tornerà pienamente possibile.
Potrebbe dunque richiamarsi l’art. 1256 c.c. il quale al secondo comma prevede, in applicazione generale a tutte le obbligazioni, l’ipotesi della impossibilità temporanea della prestazione: «se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento». Ebbene, l’applicazione di tale istituto non esonera il conduttore dal pagamento del quantum previsto; unica conseguenza è che egli non subirà conseguenze per il ritardo nell’adempimento e, per effetto, il locatore non potrà pretendere un risarcimento del danno o interessi per il ritardo nell’adempimento.
In latri termini si prevede la possibilità concessa al conduttore di rinviare il pagamento in un momento successivo. Il conduttore, infatti, una volta venuta meno la situazione di temporanea impossibilità, dovrà comunque versare i canoni scaduti e non versati. Tale soluzione, oltre ad essere di difficile adattabilità alla situazione concreta, potrebbe non essere confortata dalla giurisprudenza alla luce dell’orientamento che ritiene difficilmente ipotizzabile una situazione in cui sia impossibile, anche solo parzialmente, l’obbligazione pecuniaria, potendosi al più verificare una situazione di (soggettiva) impotenza economica del conduttore, comunque estranea all’ambito applicativo dell’art. 1256, comma 2, del Codice civile.
L’art. 1467 c.c. disciplina il caso della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta prevedendo che «nei contratti a esecuzione continuata o periodica, o a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti diventa eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto». Tale istituto fa riferimento ad avvenimenti straordinari e imprevedibili che rendono eccessivamente onerosa la prestazione per una delle parti; avvenimenti ai quali può essere ricondotta la situazione emergenziale, circostanza a carattere straordinario ed imprevedibile. A ben vedere, l’evento Covid-19 renderebbe l’esecuzione della prestazione non impossibile (secondo quanto detto sopra), ma certamente più onerosa rispetto a quanto prevedibile prima del verificarsi dell’evento stesso.
L’evento sopravvenuto ha determinato una sostanziale alterazione delle condizioni del negozio originariamente convenuto tra le parti e tale alterazione è riconducibile a circostanze senza dubbio assolutamente imprevedibili. A mente dell’art. 1467 c.c. è prevista poi la possibilità per la parte obbligata, per la qual l’adempimento diventi eccessivamente gravoso, di domandare la risoluzione del contratto. La controparte contrattuale può, però, evitare la risoluzione proponendo di modificare le condizioni dell’accordo (intervenendo sulla propria prestazione o su quella di controparte), in modo da ristabilire l’equilibrio del rapporto. Una tale soluzione (la cui iniziativa spetterà al locatore al fine di evitare la “perdita” del conduttore e della redditività dell’immobile in un periodo segnato da incertezza) potrebbe consentire, dunque, la prosecuzione del rapporto locatizio a condizioni mutate in un nuovo ritrovato equilibrio di interessi.
In conclusione è sempre consigliabile, data l’assoluta novità delle cirocstanze, valutare l’opportunità di cercare un accordo tra conduttore e locatore, soprattutto in considerazione del fatto che le norme non sempre riescono a comporre in maniera ottimale con i conflitti. Lo Studio Legale Russo Caradonna assiste la propria clientela anche nei procedimenti di mediazione, nei quali le parti hanno il vantaggio di fruire di un tavolo di confronto snello e
funzionale al dialogo, secondo le procedure alternative alla giurisdizione (ADR – Alternative Dispute Resolution), quale la mediazione civile come condizione di procedibilità della domanda giudiziale (seppur in una seconda fase che, dati i tempi, sarebbe preferibile anticipare).
Con l’ausilio del mediatore, ed il supporto dello studio legale di riferimento, le parti riescono a valutare serenamente la convenienza dell’accordo in termini di risparmio di tempi e costi, in alternativa all’aleatorietà di un contenzioso.
Rammentiamo che un eventuale accordo fra locatore e conduttore che introduca un mutamento nelle condizioni economiche del rapporto di locazione dovrà avere necessariamente forma scritta (ex art. 1 Legge n. 431/1998) e dovrà fare precisa menzione della riduzione (ovvero dell’importo da sottrarre al canone originariamente pattuito) e del periodo per cui tale riduzione opererà. Tale approccio negoziale e conciliativo consente di tutelare il mantenimento dei contratti di locazione e la ripresa delle attività economiche.
Segnaliamo l’iniziativa nota come “Patto per la Rinascita tra Avvocati, Professionisti, Imprese e Pubbliche Amministrazioni” (denominato CovidExit) che coinvolge avvocati, professionisti, imprese, organismi di mediazione e associazioni che si sono fati portavoce delle necessità di evitare soluzioni drastiche, proponendo un approccio conciliativo- mediatorio, come anche consigliato dal Manifesto della Giustizia Complementare alla Giurisdizione, redatto dagli Esperti membri del Tavolo Ministeriale sulle Procedure stragiudiziali in ambito civile e commerciale, che ha individuato nella mediazione civile “l’antidoto per disinnescare l’inevitabile esacerbarsi dei conflitti in un tessuto sociale profondamente lacerato”.
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