La Corte Costituzionale, con la sentenza 56 del 26.3.2020 si è finalmente espressa su uno degli aspetti più controversi della recente, ma neanche troppo, normativa disciplinante gli autoservizi pubblici non di linea (NCC): l’obbligo di rientro in rimessa a fine servizio, dichiarando parzialmente incostituzionale la normativa come di recente innovata.

Si tratta di una sentenza storica accolta con favore dagli interessati a questa battaglia in difesa degli NCC che ha visto lo studio Russo Caradonna in prima linea.

Il percorso normativo è stato sin dall’inizio complesso e controvesro: il settore Ncc trovava la propria regolamentazione nella legge n. 21 del 1992, già oggetto di modifica per mezzo dell’art. 29 comma 1-quater del decreto legge 30.12.2008 n. 207, (come modificato dalla legge di conversione 27 febbraio 2009, n. 14).

Come noto l’efficacia di tale disciplina era stata immediatamente sospesa, a seguito delle aspre critiche sollevate dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), dapprima per mezzo dell’articolo 7-bis del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5 (convertito con modificazioni dalla legge 9 aprile 2009, n. 33) e quindi per via di una serie continua di successive decretazioni d’urgenza, sino al 29 dicembre 2018, data di . emanazione del decreto legge 29 dicembre 2018, n. 143 (decaduto per mancata conversione).

Ad oggi la materia degli autoservizi pubblici non di linea risulta disciplinata dall’art. 10-bis del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, introdotto dalla legge di conversione n. 12 dell’ 11 febbraio 2019 (pubblicata sulla G.U. Serie Generale n. 36 del 12.2.2019) e rubricato “Misure urgenti in materia di autoservizi pubblici non di linea ” .

L’obbligo di rientro in rimessa, ripristinato e ribadito dalla normativa richiamata, veniva mitigato dalla previsione di una moratoria biennale; in particolare si richiama il comma 9 del citato art. 10 bis (L. 12 /19) a tenore del quale “ fino alla data di adozione delle deliberazioni della conferenza unificata di cui al comma 1 lettera B, e comunque per un periodo non superiore a due anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, l’inizio di un singolo servizio fermo l’obbligo di previa prenotazione, può avvenire da un luogo diverso dalla rimessa, quando lo stesso è svolto in esecuzione di un contratto in essere tra cliente e vettore stipulato in forma scritta con data certa sino a quindici giorni antecedente l’entrata in vigore del presente decreto e regolarmente registrato. L’originale o copia conforme del contratto deve essere tenuto a bordo della vettura o presso la sede e deve essere esibito in caso di controlli”.

Tale disposizione lasciava spazio a molti dubbi interpretativi al punto tale che, si segnala tra le altre, la circolare n. 2019/ 00000093 del 21.5.2019 prot. RH/2019/0142032 emanata dal Vice Comandante della Polizia di Roma Capitale, dott. Massimo Ancillotti, provocata indubbiamente dalle criticità sin da subito ravvisate all’entrata in vigore della famigerata legge, suonava sostanzialmente come un invito alla cautela: “ la disposizione non è di facile interpretazione. Secondo le condivise indicazioni ministeriali, il contratto di che trattasi non deve avere data successiva al 29.1.2019 (non oltre 15 giorni antecedenti la data di entrata in vigore della legge 12/19 avvenuta in data 13.2.2019). Neanche agevole appare inoltre la definizione della tipologia e del contenuto del contratto non altrimenti definito dalla legge. Non si capisce cioè se debba trattarsi di un contratto stipulato con il vettore da un soggetto singolo (impresa, azienda, od altro) che direttamente usufruisce del servizio o se possa ritenersi legittimo anche un contratto stipulato da un soggetto non direttamente interessato al singolo servizio che opera la mera raccolta di prenotazioni. La natura derogativa e temporanea della disposizione parrebbe favorire interpretazioni più estensive non implicanti valutazioni particolari sulla natura del contratto, ma solo sulla sua valenza temporale” prosegue “ in ogni caso ove sia accertata l’esistenza di un contratto nei termini sopra indicati deve intendersi valida la deroga e pertanto non si deve procedere alla contestazione di tale tipologia di violazione” (pag. 3 citato documento).

Lo studio Russo Caradonna, condividendo le preoccupazioni degli operatori del settore nel percepire la malcelata ingiustizia inflitta dalla richiamata normativa, ha promosso numerosi ricorsi avanti il competente Giudice di Pace – investito della questione che non ha mancato di esprimere più di qualche perplessità interpretativa sulla tenuta dell’impianto normativo– formulando altresì esposti avanti alla Procura della Repubblica che hanno contribuito a sensibilizzare le Autorità rispetto alle lacune delle norme di incerta applicazione quanto meno in attesa che si pronunciasse la Consulta.

I gravi profili di incostituzionalità, sui quali la Corte Costituzionale si è pronunciata, sono stati sollevati dalla regione Calabria la quale ha impugnato la normativa ex art. 10-bis del decreto legge 14.12.2018 n. 135 rubricato in “misure Urgenti in materia di autoservizi pubblici non di linea “ e inserito in sede di conversione dalla legge 11 febbraio 2019 n. 12, per più di una motivata ragione.

Ebbene la Consulta, in parziale accoglimento del ricorso, ha definitivamente dichiarato incostituzionale quello che viene dalla stessa definito “rigido vincolo imposto dal legislatore”, ovvero il rientro in rimessa al termine del servizio espletato.

Si riporta testualmente e significativamente :“Il rigido vincolo imposto dal legislatore – derogabile nei limitati casi previsti al nuovo comma 4-bis dell’art. 11 della legge n. 21 del 1992 e al comma 9 dell’art. 10-bis – si risolve infatti in un aggravio organizzativo e gestionale irragionevole, in quanto obbliga il vettore, nonostante egli possa prelevare e portare a destinazione uno specifico utente in ogni luogo, a compiere necessariamente un viaggio di ritorno alla rimessa “a vuoto” prima di iniziare un nuovo servizio. La prescrizione non è solo in sé irragionevole – come risulta evidente se non altro per l’ipotesi in cui il vettore sia chiamato a effettuare un servizio proprio dal luogo in cui si è concluso il servizio precedente – ma risulta anche sproporzionata rispetto all’obiettivo prefissato di assicurare che il servizio di trasporto sia rivolto a un’utenza specifica e non indifferenziata, in quanto travalica il limite della stretta necessità, considerato che tale obiettivo è comunque presidiato dall’obbligo di prenotazione presso la sede o la rimessa e da quello, previsto all’art. 3, comma 2, della legge n. 21 del 1992, di stazionamento dei mezzi all’interno delle rimesse (o dei pontili d’attracco).

Neppure è individuabile un inscindibile nesso funzionale tra il ritorno alla rimessa e le modalità di richiesta o di prenotazione del servizio presso la rimessa o la sede «anche mediante l’utilizzo di strumenti tecnologici», previste agli artt. 3, comma 1, e 11, comma 4, primo periodo, della legge n. 21 del 1992, nel testo risultante dalle modifiche introdotte al comma 1, lettere a) ed e), dell’art. 10-bis. La necessità di ritornare ogni volta alla sede o alla rimessa per raccogliere le richieste o le prenotazioni colà effettuate può essere evitata, senza che per questo si creino interferenze con il servizio di piazza, proprio grazie alla possibilità, introdotta dalla stessa normativa statale in esame, di utilizzare gli strumenti tecnologici, specie per il tramite di un’appropriata disciplina dell’attività delle piattaforme tecnologiche che intermediano tra domanda e offerta di autoservizi pubblici non di linea, demandata dal comma 8 dell’art. 10-bis, come visto, a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

Il carattere sproporzionato della misura non è superato – ma solo attenuato, rispetto alla previgente disciplina più restrittiva dettata dall’art. 29, comma 1-quater, del d.l. n. 207 del 2008 – dalla possibilità concessa al vettore di utilizzare, per l’inizio e il termine del servizio, una qualsiasi delle rimesse di cui disponga nell’ambito territoriale provinciale o di area metropolitana, di cui all’art. 3, comma 3, della legge n. 21 del 1992, come sostituito dal comma 1, lettera a), dell’art. 10-bis.

Deve essere dichiarata dunque l’illegittimità costituzionale dell’art. 10-bis, comma 1, lettera e), del d.l. n. 135 del 2018, nella parte in cui ha sostituito il secondo periodo del comma 4 dell’art. 11 della legge n. 21 del 1992.

Per la loro stretta connessione all’obbligo di iniziare e terminare ogni viaggio alla rimessa, sono illegittime anche le norme che derogano in casi particolari allo stesso obbligo, e segnatamente il comma 1, lettera f), nella parte in cui ha aggiunto il comma 4-bis all’art. 11 della legge n. 21 del 1992, e il comma 9 dell’art. 10-bis del d.l. n. 135 del 2018.”

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