Responsabilità civile e penale del datore di lavoro per contagio da covid-19. Cosa prevede il DPCM 26 aprile 2020 e la recente circolare n. 13/2020dell’Inail.
Il datore di lavoro e’ responsabile dell’inosservanza delle norme a tutela dell’integrità fisica dei prestatori di lavoro in quanto titolare di una posizione di garanzia a tenore dell’art. 2087 c.c. La normativa nazionale di riferimento è il D.Lgs. n. 81/2008 (T.U. Salute e Sicurezza sul lavoro) il quale riunisce, all’interno di un unico testo, tutte le norme in materia di salute e di sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro ed appronta una serie di interventi da osservare per il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori.
L’infezione da coronavirus entra di diritto nell’ambito delle malattie infettive e parassitarie e, come tale, legittima il lavoratore che ne risulti affetto in occasione di lavoro alla richiesta di copertura Inail . In merito richiamiamo l’attenzione su quanto previsto dal Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 cd “Decreto Cura Italia” all’art. 42 comma 2 nonché dalla circolare Inail n. 13 del 3 aprile 2020.
L’articolo 2, comma 6, del DPCM 26 aprile 2020 indica nel dettaglio le misure previste per il fenomeno infettivo da coronavirus, imponendo a tutte le imprese che non hanno sospeso la propria attività di osservare il “ protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro” sottoscritto dal Governo e dalle parti sociali ed aggiornato lo scorso 24 aprile 2020”.
Viene imposto, in primo luogo, in capo al datore di lavoro un obbligo di informazione, attraverso le modalità più idonee ed efficaci, circa le disposizioni delle Autorità e l’obbligo della rilevazione della temperatura (qui un articolo di approfondimento). Oltre a ciò deve prevedere una seria di misure relative alla protezione individuale, alla igiene e sanificazione dei luoghi di lavoro (mettendo anche a disposizione degli erogatori di disinfettante), unitamente alla individuazione e gestione dei lavoratori con sintomi, nonché alla costante sorveglianza sanitaria.
In sintesi la semplice mancata osservanza di una delle norme sopra menzionate è sufficiente a determinare in capo al datore di lavoro una responsabilità penale nel caso di un dipendente che affermi di aver contratto la malattia (anche rimanendo asintomatico) sul luogo di lavoro.
Penalmente il datore di lavoro che non osserva le norme antinfortunistiche, infatti, è punibile ai sensi dell’art. 40 c 2 cp: trattasi di reato omissivo improprio, o reato commissivo mediante omissione, proprio in virtù del fatto che l’agente ha l’obbligo giuridico di impedire l’evento: solo in tal caso si ha una corrispondenza tra il non impedire e il cagionare. Il datore di lavoro potrebbe essere chiamato a rispondere del reato di lesioni di cui all’art. 590 c.p. (salvo ipotesi di malattia lieve, guaribile in meno di 40 giorni, procedibile a querela), oppure di omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p. qualora al contagio sia seguita la morte, oltre alla circostanza aggravante della violazione delle norme antinfortunistiche (art. 590, comma 3, c.p.).
Da ultimo la circolare n. 13/2020 dell’Inail chiarisce che “Nell’attuale situazione pandemica, l’ambito della tutela riguarda innanzitutto gli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio, aggravato fino a diventare specifico. Per tali operatori vige, quindi, la presunzione semplice di origine professionale, considerata appunto la elevatissima probabilità che gli operatori sanitari vengano a contatto con il nuovo coronavirus.
A una condizione di elevato rischio di contagio possono essere ricondotte anche altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza. In via esemplificativa, ma non esaustiva, si indicano: lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi, etc. Anche per tali figure vige il principio della presunzione semplice valido per gli operatori sanitari.
Per tutti gli altri lavoratori, la copertura assicurativa è riconosciuta a condizione che la malattia sia stata contratta durante l’attività lavorativa stabilendo l’onere della prova a carico dell’assicurato.
L’assicurazione Inail opera anche per i casi di infortunio in itinere in cui rientrano gli incidenti da circolazione stradale, a prescindere dal mezzo utilizzato per raggiungere il posto di lavoro, ed i contagi avvenuti durante il percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro.
Tale assunto è verificabile spesso soltanto astrattamente, considerando, invero, che il periodo di tempo che intercorre tra il contagio ed il manifestarsi dei sintomi può arrivare fino a 14 giorni; dunque può risultare estremamente gravoso sostenere per il lavoratore che il luogo del contagio possa essere individuato con certezza all’interno della sede di lavoro.
Il datore di lavoro potrebbe utilmente discolparsi dimostrando di aver adottato tutti i presidi indicati dalla legge, o sostenendo che comunque vi fossero altre fonti di contagio che possano aver infettato il lavoratore.
L’eventuale contagio da coronavirus all’interno del luogo di lavoro non esenta il datore di lavoro dal risarcimento del danno anche in sede civilistica, ai sensi dell’art. 2043 cc ed il riparto dell’onere della prova è anche in questo caso a carico del lavoratore che si assume leso, il quale deve provare il nesso di causalità fra l’evento dannoso di cui chiede il risarcimento e la condotta attiva o omissiva dei datore di lavoro.
Avv. Silvia Caradonna – Studio Legale Avvocato Roma