La ragazza arrivò in fin di vita al San Giovanni dichiarando di aver subito uno stupro. I sanitari ordinarono la visita ginecologica sottovalutando le condizioni disperate della giovane che morì poco dopo
di FRANCESCO SALVATORE
La mattina del 30 ottobre del 2013 era trovata agonizzante nel cortile di via Urbisaglia, zona San Giovanni. “Sono vittima di violenza sessuale”, aveva detto ai soccorsi, per perdere poi conoscenza. Simona Riso, 28 anni, origini calabresi, è poi morta nell’ospedale San Giovanni. Le indagini hanno appurato che non c’era stata alcuna violenza sulla ragazza e che la giovane era caduta dal terzo piano del palazzo in cui viveva.
Forse un tentativo di suicidio. I due medici che la presero in carico, però, sono stati accusati di omicidio colposo, per aver ritardato gli accertamenti necessari su di lei. E sono finiti a processo. Ieri uno dei due, il medico di guardia del pronto soccorso, Raimondo Grossi, difeso dall’avvocato Pierfrancesco Bruno, è stato condannato a un anno di reclusione. Stando alle accuse del pm Attilio Pisani, pur rilevando nel corso della visita uno shock emotivo, e che la ragazza respirava male e si lamentava, avrebbe disposto la visita ginecologica. Ritardando la radiografia e l’ecografia che avrebbero rilevato le lesioni causate dalla caduta, fra cui delle fratture costali. A convincerlo era stato quanto era stato riferito da Simona stessa ai paramedici del 118: “Sono stata violentata”, aveva raccontato loro. Per poi entrare in uno stato di coscienza ridotto.
L’altro medico finito sotto processo, Anna Maria Bandiera, ginecologa in servizio quel giorno nel nosocomio, è stata assolta “perché il fatto non costituisce reato”. Era accusata di aver prestato poca attenzione allo stato confusionale e all’incapacità a rispondere agli stimoli verbali di Simona, sottovalutando il quadro clinico generale in cui versava. Il giudice Fabio Mostarda ha disposto, in attesa del risarcimento da stabilire in sede civile, una provvisionale di 10mila euro alla parte civile.
“E’ comunque una sentenza dal sapore agrodolce – ha detto l’avvocato Sebastiano Russo, difensore di parte civile – non posso che essere soddisfatto per la condanna del dottor Grossi, che ritengo sia principale responsabile. Rimango del parere che analoghe responsabilità siano comunque ascrivibili anche alla dottoressa Bandiera. Seppure una parte di giustizia è stata fatta, dispiace il silenzio serbato dal pm titolare dell’indagine che non ha mai partecipato alle udienze”.
Avv. Sebastiano Russo
Articolo pubblicato in data 20 dicembre 2017 su “Repubblica.it”: