Roma, 23 09 2020
Si conclude dopo più di 5 anni di indagini il calvario vissuto da un Maresciallo dei Carabinieri accusato del reato di cui all’art. 74 del d.p.r. 309/90.
L’ispettore, con alle spalle più di 25 anni di servizio esemplarmente svolti è stato oggetto di una indagine della Procura della Repubblica di Roma che ha interessato anche altri militari dell’Arma. Il procedimento di fatto è scaturito dalle dichiarazioni accusatorie di un corriere tratto in arresto proprio dai militari oggetto di indagine.
Nel caso di specie, a distanza di circa un anno da quando ristretto in carcere a seguito della condanna inflitta, sulla base delle dichiarazioni del corriere è stato avviato un procedimento penale che, come premesso, ha coinvolto anche la posizione del ricorrente.
Notificato l’avviso di garanzia, l’amministrazione di appartenenza, quasi fosse del tutto scontato il coinvolgimento dell’Ispettore, ha ritenuto di non poter tollerare oltre la permanenza in servizio di quello che ha creduto essere un militare infedele, reo, secondo il convincimento maturato, della commissione di gravi fatti delittuosi assolutamente incompatibili con lo status rivestito.
E difatti, all’esito del procedimento disciplinare di Stato avviato, nell’ambito del quale il diretto interessato ha sempre professato – a gran voce – la propria innocenza, il militare è stato ritenuto dalla commissione di disciplina non meritevole di conservare il grado ragion per la quale conseguentemente rimosso dal proprio impiego, e posto in congedo senza emolumento alcuno.
Ciò che più di ogni altro aspetto di questa vicenda ha destato clamore è la circostanza, del tutto singolare, che ha riguardato la formalizzazione degli addebiti in sede disciplinare, consistiti esattamente in un’esatta riproduzione del capo di incolpazione provvisorio, mutuato fedelmente dal procedimento penale all’epoca pendente nella fase (peraltro embrionale) delle indagini preliminari.
A nulla è in altre parole valsa la strenua difesa opposta dal militare in sede disciplinare; nonostante gli sforzi profusi, ma soprattutto l’assenza di elementi di riscontro, del tutto inflessibile si è comunque rivelato il giudizio della commissione di disciplina.
Il provvedimento destituzione, tempestivamente impugnato dinanzi al Tar del Lazio, ha determinato l’avvio di un procedimento giudiziale durato oltre 5 anni, al termine del quale, il Tribunale Amministrativo si è effettivamente dovuto arrendere alle evidenze probatorie, che sulla base delle argomentazioni svolte non consentivano, nella maniera più assoluta, di poter giungere ad un giudizio di colpevolezza.
Dello stesso tenore, del resto, si è dimostrata la richiesta del P.M. titolare delle indagini preliminari, subentrato al suo predecessore – che quelle indagini aveva precedentemente avviato, evidentemente ritenendo del tutto infondata la notitia criminis, ragion per cui è stata richiesta l’archiviazione del procedimento penale, archiviazione accolta dal G.I.P. del Tribunale di Roma e formalizzata dal relativo Decreto.
Attraverso dunque la sentenza pubblicata il 21 settembre del 2020 il Tar del Lazio – Roma ha per l’effetto annullato il provvedimento di rimozione disponendo in tal modo il reintegro in servizio del Maresciallo Aiutante a cui seguirà ovviamente la ricostruzione della carriera e la relativa corresponsione di tutti gli emolumenti arretrati.
E’ opinione di chi si è occupato di questa vicenda che in casi simili la prudenza dovrebbe prevale su provvedimenti presi d’impulso, come si ritiene sia accaduto nel caso di specie.
Invece di procede alla risoluzione del rapporto di impiego, senza neppure attendere un rinvio a giudizio del militare, meglio avrebbe fatto l’amministrazione militare ad attendere gli sviluppi dell’azione penale e, solo nel caso di una eventuale imputazione (peraltro mai formalizzata) valutare l’adozione di una sospensione precauzionale a titolo discrezionale.
Agendo in tal modo, ben si sarebbe potuto evitare quello che il Giudice Amministrativo ha ritenuto essere di solare evidenza una illegittima destituzione dal servizio, per non parlare poi del danno erariale provocato con l’adozione di un provvedimento che, come sua naturale conseguenza, comporterà per le casse dello Stato l’esborso (a titolo di emolumenti dovuti nell’arco del quinquennio) di ingenti somme di danaro legate ai contributi e alle retribuzioni dovute per tutti gli anni in cui il militare è stato indebitamente privato del proprio impiego lavorativo.
Ma forse il danno maggiore non si ravvisa tanto nel danno economico che sarà oggetto di refusione quanto piuttosto in quello di diverso tenore afferente l’onorabilità di un militare che, fino alla vicenda giudiziaria (che lo ha visto suo malgrado incolpevole protagonista), aveva dato ampia e comprovata dimostrazione delle sue doti personali e professionali, come dimostrato dalle note caratteristiche (Eccellente con plauso) nonché dagli innumerevoli riconoscimenti di carattere morale tributati nel corso della propria carriera dalla Superiore Gerarchia.
Avv. Sebastiano Russo
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